Di Eugenio Occhi
ANATOMIA FUNZIONALE E BIOMECCANICA
Il rachide, o colonna vertebrale, può essere nel suo insieme paragonato a una colonna flessibile a snodi ancorata alla base (sacro), sottoposta a carichi di varia natura (compressione assiale ed eccentri- ca, trazione, taglio, flessione, torsione) e sostenuta da tiranti muscolari e legamentosi ad azione equilibrante le forze e i momenti esterni generati da questi carichi.
Poiché l’assetto della base (sacro) influenza ed è influenzato dall’assetto dei segmenti sovra e sot- tostanti, il segmento lombosacrale va sempre considerato all’interno di un sistema funzionale più com- plesso costituito da rachide e bacino.
La mobilità coordinata del rachide nei diversi piani dello spazio è consentita dal movimento sin- crono e coordinato di tutti i segmenti che lo compongono (segmenti di movimento) (fig. 1).
Fig. 1
Ogni segmento di movimento, che costituisce l’unità funzionale del rachide, è composto da due vertebre adiacenti e dai tessuti molli interposti (il segmento di movimento più caudale è costituito dalla quinta vertebra lombare e dalla prima sacrale)
Come si può vedere nelle figure 2 e 3, in ogni segmento si distinguono: a) una porzione anteriore di sostegno (pilastro anteriore), costituita da due corpi vertebrali adiacenti, dal disco intervertebrale interposto, e dai legamenti (legamento longitudinale anteriore e legamento longi- tudinale posteriore);
b) una porzione posteriore, di guida al movimento (pilastro posteriore), costituita dai peduncoli, dalle lamine, dai processi trasversi e spinosi, dalle articolazioni interapofisarie, dai legamenti giallo, sovra- spinoso, interspinoso, intertrasverso e dai muscoli.
Fig. 2 - Segmento di movimento. A: pilastro anteriore; B: pilastro posteriore (da Kapandji, 1974).
Fig. 3 - Rappresentazione schematica dei particolari anatomici di una vertebra. Si noti nella porzione anterio- re il corpo vertebrale e il disco (1), nella porzione posteriore i peduncoli (8-9), le lamine (10-11), le apofisi articolari (3-4), le apofisi trasverse (5-6), l’apofisi spinosa (7), i vari legamenti. I peduncoli e le lamine forma- no nel loro insieme l’arco vertebrale (2); questo costituisce la parete postero laterale del canale vertebrale, sede di passaggio del midollo spinale (che termina a livello di L2) e delle radici dei nervi periferici (da Ka- pandji, 1974).
CORPO VERTEBRALE
Il corpo vertebrale è una robusta struttura costituita da una corticale di osso denso che racchiude osso spugnoso. La corticale delle facce superiore e inferiore di ogni corpo vertebrale è chiamata piatto vertebrale; questo è particolarmente ispessito al centro, dove è ricoperto da tessuto cartilagineo; nella sua parte periferica presenta un rilievo marginale (orletto marginale) che origina da un nucleo di ossificazione epifisario a forma di anello che si salda col resto del corpo vertebrale alla pubertà (fig. 4). Le alterazioni della ossificazione di questo nucleo epifisario danno origine alla epifisite vertebrale o morbo di Sheuermann.
Fig. 4 - Vertebra lombare. Sono evidenziati il piatto cartilagineo (p) e l’orletto marginale (l).
Con l’età, il corpo vertebrale diventa più rigido (minore deformabilità) e in grado di immagazzina- re una minore quantità di energia (minore resistenza alla frattura). Questo spiega da un lato la maggior predisposizione a fratture nell’anziano (crolli osteoporotici), dall’altro la maggior gravità delle fratture nel giovane (per la maggior quantità di energia liberata al momento della frattura).
IL DISCO INTERVERTEBRALE
Costituisce il fulcro attorno a cui avviene gran parte dei movimenti intervertebrali. Si comporta come una sorta di cuscinetto situato tra due corpi vertebrali in grado di sostenere, distribuire e ammor- tizzare i carichi (Caillet, 1992; Adams, 1981; Kapandji, 1974; Nachemson, 1976). E’ costituito da una parte centrale fluida, il NUCLEO POLPOSO, che occupa il 50-60% della sezione trasversa del disco, e da una parte periferica fibroelastica ancorata ai piatti cartilaginei, l’ANULUS FIBROSUS, che racchiude il nucleo (Fig.5).
Fig . 5 - Disco intervertebrale
Il nucleo è composto essenzialmente da acqua (85%) e da poteoglicani, famiglia di macromolecole la cui funzione è quella di legare notevoli volumi di acqua (effetto osmotico), limitandone la fuoriuscita quando il disco è posto sotto pressione (Caplan, 1984); questa funzione consente di limitare la de- formazione a compressione del disco.
L’anulus è formato da fibre collagene organizzate in lamelle concentriche disposte a strati attorno al nucleo (Holm, 1996, ha contato 15-20 strati di lamelle in ciascun disco); ciascuna lamella è composta da fasci di fibre a decorso parallelo. Poiché la direzione dei fasci varia da una lamella all’altra (i fasci di ciascuna lamella sono disposti perpendicolarmente a quelli della lamella adiacente), il collagene forma nel suo complesso una rete fibrosa che, oltre a contenere rigidamente il nucleo, è in grado di deformarsi elasticamente in risposta ai carichi, assorbendo e distribuendo i carichi stessi attraverso il movimento reciproco delle lamelle (fig. 11; fig. 6).
Fig. 6 - Schema illustrante la organizzazione a strati dell’anulus fibrosus (da Kapandji, 1974)
La composizione chimica e la organizzazione strutturale del disco (nucleo ad alto contenuto idrico racchiuso in una struttura elastica a rete ad elevata rigidezza) fa sì che il nucleo sia mantenuto sotto co- stante pressione e la rete di collagene sotto costante tensione, la qual cosa consente ai corpi vertebrali di non venire compressi l’uno sull’altro sottocarico (vedi figura 5). Questo meccanismo, ovviamente, perde di efficacia se si riduce la pressione intranucleare per esposizione prolungata al carico (che, come ve- dremo più avanti, provoca una fuoriuscita di acqua dal nucleo), per riduzione della quantità di proteoglicani, o per cedimento delle fibre dell’anulus e/o dei piatti cartilaginei con penetrazione al loro in- terno di materiale nucleare.
STUDI DI LABORATORIO
Il comportamento meccanico del disco è stato ampiamente studiato in laboratorio sottoponendo un segmento di movimento isolato da cadavere a una serie di test simulanti le condizioni presenti in vivo (carichi statici, carichi dinamici, di compressione, di torsione, di flessione, a diverse velocità di applicazione).
Sottoponendo un segmento di movimento lombare a un carico di compressione assiale a crescita progressiva, ad esempio, si è osservata dapprima una deformazione del disco; col crescere del carico è seguita la frattura del corpo vertebrale, che ha inizio a livello del piatto cartilagineo e, infine, la frattura del disco (Markolf e Morris, 1974; Morris, 1973; Radin et al., 1984) (Fig. 7).
Fig. 7 - Comportamento del segmento di movimento sotto carico compressivo assiale. A causa della diversa rigidezza e della diversa resistenza a rottura del disco e dell’osso (l’osso è più rigido ma meno resistente del disco), la prima risposta osservabile è la deformazione del disco; segue la deformazione del corpo vertebrale, la rottura del corpo vertebrale (che ha inizio a livello del piatto cartilagineo) e, infine, la rottura del disco (da Radin, 1984).
L'aplicazione del carico è superiore ai due secondi (Turek, 1977). Nel primo caso il cambiamento di forma del disco non è accompagnato da un cambiamento di volume, e alla rimozione del carico il recupero del- la forma originaria è immediato, o quasi (comportamento elastico); nel secondo caso si ha sempre una riduzione di volume del disco, proporzionale alla quantità di acqua spremuta all’ esterno, e il recupero della forma originaria alla rimozione del carico richiede sempre un certo tempo.
Gli studi di Adams et al. (1994) hanno evidenziato che il disco, mantenuto sotto un carico compressivo di 1000 Newton per due ore, si riduce in altezza di circa mm.2 .
NUTRIZIONE DEL DISCO
Poiché, a differenza della parte periferica (porzioni periferiche dell’anulus), la parte centrale del disco è completamente sprovvista di vasi , il nutrimento di quest’ultima avviene per processi di osmosi, di diffusione e, soprattutto, grazie a un meccanismo di pompa per il quale una diminuzione di pressione facilita l’ingresso di sostanze nutritizie e rallenta l’espulsione di cataboliti mentre il suo incremento de- termina la condizione inversa (Caillet, 1973; Kapandji, 1974; Kroemer, 1985) (Fig. 8). Per garantire la salute del disco, l’ optimum del processo nutritivo è determinato dal costante alternarsi di condizioni di carico e scarico attorno a un valore soglia che si aggirerebbe intorno agli 80 Kg di pressione intradi- scale lombare (il valore soglia è l’ elemento discriminante tra condizioni di sovraccarico e condizioni di sottocarico). Per contro, condizioni prolungate di sovraccarico e sottocarico, quali sono quelle che pos- sono realizzarsi nelle posture fisse prolungate, ostacolano il ricambio nutritizio e possono a lungo termine favorire processi di degenerazione discale (Grieco, 1986, Kapandji, 1974).
Fig. 8 - Mentre il carico, comprimendo il nucleo polposo, produce la fuoriuscita di liquidi e l’espulsione di ca- taboliti, lo scarico produce la condizione inversa (imbibizione del nucleo e ingresso di sostanze nutritizie) (da Kapandji, 1974).
FISIOPATOLOGIA DEL DISCO
Il disco, così come l’osso, può andare incontro a lesioni progressive da fatica a seguito di carichi cumulativi inferiori al carico di rottura o a seguito di carichi mantenuti nel tempo. Queste consistono es- senzialmente in :
a) fissurazioni all’interno dell’anulus, specie nella sua porzione posteriore, più sottile e meno robusta, o a livello dei piatti vertebrali, con penetrazione al loro interno di materiale nucleare (Fig. 9); questo fenomeno è molto frequente nelle persone giovani e di mezza età mentre è raro nell’anziano a causa della bassa pressione intranucleare
b) penetrazionedellelamelleinternedell’anulusnelnucleo(fenomenofrequentenell’anziano)
Con l’usura e l’invecchiamento si riduce anche il contenuto di proteoglicani del nucleo; ne consegue una perdita di gran parte della capacità ammortizzante del disco (riduzione della capacità di tratte- nere acqua, riduzione della compattezza del nucleo, riduzione della pressione intradiscale e dell’elasticità del disco) e la riduzione dei meccanismi di spremitura dei liquidi e degli scambi nutritizi (vedi figura 5).
Fig. 9 - A: Penetrazione di materiale nucleare nelle brecce createsi all’interno dell’anulus per usura, trauma- tismo o invecchiamento - B: Penetrazione di materiale nucleare nella spongiosa vertebrale a seguito dell’interruzione della continuità del piatto vertebrale (ernia intraspongiosa per frattura stellata del piatto da sovraccarico).
I PEDUNCOLI sono processi arcuati brevi e spessi che originano dalle porzioni postero laterali di ciascun corpo vertebrale e si proiettano all’ indietro continuandosi con le LAMINE, larghe piastre ossee dirette posteriormente verso la linea mediana, dove si congiungono. Dal punto di unione delle la- mine originano i PROCESSI SPINOSI, che si dirigono posteriormente e in basso. In corrispondenza del punto di unione dei peduncoli con le lamine originano i PROCESSI TRASVERSI, diretti late- ralmente, e le FACCETTE ARTICOLARI.
I peduncoli e le lamine di ciascuna vertebra costituiscono nel loro insieme l’ARCO POSTERIO- RE. Lo spazio delimitato dalla faccia posteriore di un corpo vertebrale in avanti e dall’arco posteriore di lato e all’ indietro è chiamato ORIFIZIO SPINALE. La successione degli orifizi lungo il decorso del rachide costituisce il CANALE SPINALE. All’ interno del canale decorrono il midollo spinale (che termina in corrispondenza di L1-L2) e le radici dei nervi spinali.
ARTICOLAZIONI INTERAPOFISARIE. Sono articolazioni sinoviali formate dalla giunzione tra i processi (o faccette) articolari inferiori di una vertebra e quelli superiori della vertebra immediata- mente sottostante. Originano in corrispondenza del punto di congiunzione tra peduncoli e lamine. Come tutte le articolazioni sinoviali comprendono i capi articolari (faccette), ricoperti di cartilagine ialina, la membrana sinoviale e la capsula articolare.
A livello del rachide lombare i processi articolari inferiori (a superficie convessa) della vertebra soprastante sono situati medialmente a quelli superiori (a superficie concava) della vertebra sottostante
Mentre il ruolo principale delle faccette articolari delle prime vertebre lombari, orientate essenzial- mente sul piano sagittale, è quello di limitare i movimenti di rotazione e di flessione laterale, il ruolo principale delle faccette articolari L4-L5-S1, orientate essenzialmente sul piano frontale, è quello di con- trastare scivolamento in avanti della vertebra soprastante su quella sottostante per effetto di forze di ta- glio (Radin, 1984) ) (Fig.10).
Fig. 10 - A: Sezione sagittale del segmento di movimento lombo-sacrale. Si noti la funzione “antiscivola- mento” delle faccette articolari (da Radin, 1984)
FORAMI INTERVERTEBRALI (O CANALI DI CONIUGAZIONE)
Sono gli spazi intervertebrali attraverso cui fuoriescono i nervi spinali. Ciascun forame è delimitato al davanti dal disco intervertebrale e dalla parte adiacente dei corpi vertebrali, al di sotto dal pedun- colo della vertebra sottostante, al di sopra dal peduncolo della vertebra sovrastante, al di dietro dalle ar- ticolazioni interapofisarie e il bordo esterno del legamento giallo (Fig. 11).
Il forame intervertebrale è occupato per 1/5 dal nervo spinale, per 4/5 da altri tessuti molli (vasi, tessuto adiposo, ecc.). Questi ultimi possono andare incontro a fenomeni infiammatori con conseguente edema e riduzione dello spazio foraminale utile (spazio attraverso cui passa i nervo spinale). Una ridu- zione dello spazio foraminale utile può anche essere causato da protrusione discale, spondilosi, lesioni infiammatorie o artrosiche delle faccette, ipertrofia del legamento giallo.
Fig. 11- Forame intervertebrale (2) e nervo spinale (NR). 1) disco intervertebrale 10) peduncolo della verte-bra sottostante 11) peduncolo della vertebra sovrastante 9) articolazioni interapofisarie 6) bordo esterno del legamento giallo (da Kapandji,1974).
NERVO E RADICI SPINALI
Un nervo spinale è formato dall’unione di una radice anteriore (insieme di fibre motrici emergenti dalle corna anteriori del midollo spinale) e di una radice posteriore (insieme di fibre sensitive che origi- nano nei gangli siti in corrispondenza dei forami intervertebrali e si portano nella porzione posteriore del midollo spinale). Tali radici emergono bilateralmente e simmetricamente dal midollo spinale.
Le radici anteriore e posteriore di ciascun lato si uniscono e formano il tronco del nervo spinale (nervo misto) nel forame di coniugazione (forame intervertebrale). Poco oltre l’uscita dal forame, il ner- vo misto si biforca in due rami primari, anteriore e posteriore.
I rami primari anteriori dei distretti lombare e sacrale, unendosi a quelli sopra e sottostanti, danno origine ai plessi; i rami primari posteriori si portano alla muscolatura intrinseca del dorso e trasportano la sensibilità superficiale e profonda di questo (compresa la sensibilità delle strutture rachidee).
Il nervo, i gangli e le radici sono dotati di una rete vascolare riccamente anastomizzata compren- dente arteriole, venule e capillari (vasa nervorum). Essendo dotate di una rete vascolare meno sviluppa- ta rispetto a quella dei nervi periferici (manca la vascolarizzazione arteriosa “in parallelo” epi- e peri- nerviale tipica dei nervi periferici), le radici nervose traggono il loro nutrimento anche dal liquido cere- bro-spinale (Parke et al., 1985; vedi oltre).
FIG. 12 - Nervo Spinale
Guaine di avvolgimento delle radici e dei nervi
Nel canale spinale, le radici nervose con la loro sottile guaina piale decorrono all’interno del sacco durale. In prossimità del forame d’uscita intervertebrale la guaina durale emette da ciascun lato una du- plice espansione che avvolge a manicotto le radici anteriore e posteriore dei rispettivi nervi spinali (guaina durale). Nel punto di unione delle due radici le guaine anteriore e posteriore si fondono in una guaina unica riccamente vascolarizzata che accompagna il nervo misto fino alla uscita del forame, dove si continua con l’epinervio.
L’aracnoide collabisce con la superficie interna della dura lungo tutto il canale spinale fino alla u- scita del forame intervertebrale.
Lo spazio contenuto tra la parete interna della dura e l’aracnoide (spazio subaracnoideo) è percor- so dal liquido cerebrospinale (che quindi contribuisce al rifornimento nutritizio delle radici). Dove si ar- resta l’aracnoide (all’uscita del forame) viene meno la presenza di liquor, e il connettivo del nervo si organizza a formare le guaine epi, peri ed endonerviali.
Comportamento meccanico del nervo e delle radici
I nervi hanno una elevata rigidezza e resistenza a trazione che dipende essenzialmente dal periner- vio1 (Sunderland, 1978). Essendo sprovviste di epi- e perinervio, le radici nervose hanno una rigidezza e una resistenza a trazione inferiori a quelle del nervo (Kwan et al., 1988); queste proprietà variano inol- tre, nell’ambito della stessa radice lombosacrale, a livello del canale spinale e del forame intervertebrale (il carico di rottura della radice nella sua porzione intracanalare è pari a circa 1/5 del carico di rottura della stessa a livello del forame di coniugazione) (Kwan et al., 1988).
Sottoposti a un carico compressivo superiore per intensità e durata di applicazione a una certa soglia, il nervo e le radici vanno incontro a una sofferenza ischemica manifestantesi con formicolii, do- lori e debolezza muscolare. E’ possibile produrre un danno ischemico (legato alla compromissione del flusso sanguigno) sia applicando una compressione di intensità non elevata per tempi lunghi (Lundborg et al., 1982, hanno evidenziato modificazioni anatomo-funzionali del nervo a seguito dell’applicazione di una compressione di 30 mm.Hg per 4-6 ore), sia applicando una forza compressiva elevata per tempi brevi (Rydevik et al., 1980, hanno prodotto danni ischemici irreversibili sul nervo applicando forze compresive di 300-400 mm.Hg per brevi intervalli di tempo).
Dal punto di vista anatomo patologico, nel primo caso (compressione di modesta intensità applica- ta per tempi lunghi) è stato riscontrato edema intraneurale e fibrosi interstiziale, nel secondo caso (com- pressione elevata per tempi brevi) danni assonali irreversibili.
E’ stato dimostrato (Rydevik et al., 1980) che, a parità di compressione (intensità e tempo), i danni delle radici (congestione venosa, edema, ecc.) sono maggiori di quelli del nervo e che, delle radici, quella sensitiva risulta sempre maggiormente compromessa.
Mobilità delle radici nervose
Durante i movimenti del rachide le radici presentano un certo scorrimento all’ interno dei canali radicolari; durante la manovra di Lasègue, è stato dimostrato ha rilevato uno spostamento delle radici lombosacrali di circa 2-3 mm. (Goddard, 1965).
Fenomeni patologici limitanti lo scorrimento delle radici (fibrosi, ernia discale, stenosi laterale del canale, ecc.) possono provocare stiramenti indesiderati di queste strutture anche per movimenti fisiolo- gici del rachide.
INNERVAZIONE DEL SEGMENTO DI MOVIMENTO
Mentre il controllo motorio è legato ai motoneuroni alfa e gamma originantisi a livello delle corna anteriori del midollo, le informazioni sensitive sono veicolate dai neuronoi pseudounipolari a T, ad ori- gine nei gangli (un ganglio è costituito dall’insieme dei corpi cellulari dei neuroni sensitivi). Delle due branche della T, quella periferica, deputata alla raccolta delle informazioni (propriocettive e dolorifiche, essenzialmente) si porta alla dura madre (D), al legamento longitudinale posteriore (LLP), alla porzione periferica dell’anulus discale (Dc), alle pareti dei vasi sanguigni, alle articolazioni intervertebrali, all’ osso, al periostio, ai muscoli, ai tendini e ad altre strutture del segmento motore provviste di recettori, quella centrale si porta alla porzione posteriore del midollo e si collega sia con i motoneuroni locali, dando luogo a risposte riflesse, che con i Centri superiori dove si verificano processi di elaborazione più o meno complessi. Le fibre sensitive decorrono in gran parte all’ interno del nervo meningeo ricor- rente (Fig. 13).
Fig. 13 - Nervo meningeo ricorrente. Le fibre di questo nervo, sensitive, hanno origine nel ganglio spinale e si dividono a T. Delle due branche della T, quella periferica, deputata alla raccolta delle informazioni (proprio- cettive e dolorifiche, essenzialmente) si porta alla dura madre (D), al legamento longitudinale posteriore (LLP), alla porzione periferica dell’anulus discale (Dc) e ad altre strutture dell’Unità funzionale rachidea; quella centrale si porta alla porzione posteriore del del midollo e si collega sia con i motoneuroni locali, dando luogo a risposte riflesse, che con i Centri superiori dove si verificano processi di elaborazione più o meno complessi. Le sensazioni dolorose provenienti dal distretto lombare sarebbero in gran parte mediate da questo nervo (da Caillet, 1994).
APPARATO LEGAMENTOSO
Le articolazioni del rachide sono rinforzate da numerosi legamenti intrinseci (legamento longitudi- nale anteriore, legamento longitudinale posteriore, legamento giallo, legamenti capsulari, legamento interspinoso, legamento sovraspinoso, legamento intertrasverso) ed estrinseci (legamenti ileolombari).
Il compito principale dei legamenti è quello di limitare la mobilità del rachide sviluppando tensione passiva in grado di opporsi, insieme alla tensione muscolare, ai momenti esterni prodotti dalla gravità e dall’inerzia.
Come tutti i tessuti biologici, i legamenti, sottoposti a carichi di trazione, manifestano un compor- tamento meccanico di tipo visco-elastico. In particolare, se lo stiramento è rapido (movimenti veloci), si comportano come delle molle sviluppando una tensione direttamente proporzionale all’allungamento subito (se non viene superato il punto di snervamento, al di là del quale il comportamento diventa di tipo plastico); se lo stiramento è lento, o se viene mantenuto staticamente, si verificano i fenomeni legati alla viscosità (creep e stress relaxation), per cui viene persa la proporzionalità diretta tra allungamento e tensione sviluppata (vedremo più avanti le conseguenze in vivo di questi fenomeni) (Fig. 16; 17; 18).
Fig. 16 - Tipica curva carico - deformazione relativa al legamento (formato da fibre collagene + fibre elastiche in piccola quantità + matrice). L’andamento della curva è dapprima quasi piano a causa del raddrizza- mento delle fibre, che nel legamento a riposo hanno una disposizione ondulata (fase I) e si fa successivamente più ripido e lineare (comportamento elastico) (fase II) a causa della resistenza sempre maggiore offerta dalle fibre alla forza di trazione applicata; dopo il superamento del limite elastico (punto di snervamento), la curva si appiana nuovamente (fase III, comportamento plastico) fino al raggiungimento del punto di rottura (fase IV) (da Noyes et al., 1977).
Fig. 17 - Curva deformazione tempo ottenuta sottoponendo un legamento a un carico di trazione costante e prolungato, inferiore al carico di snervamento. Si noti la deformazione elastica immediata, proporzionale alla intensità del carico, e la successiva lenta deformazione viscosa, o creep (da Cochran, 1982).
Fig. 18 - Stress relaxation: riduzione, nel tempo, della tensione (o sforzo) sviluppata all’interno del legamento al persistere della deformazione (da Cochran, 1982).
La rigidezza e la resistenza a rottura di un legamento si riducono a seguito di immobilizzazione, di invecchiamento o di malattia (Woo,1982) (fig. 42); aumentano invece con l’allenamento (somministra- zione di carichi fisiologici) (Akeson et al.,1982; Amiel et al.,1982).
MUSCOLI
Non entriamo in questa sede nei dettagli anatomici; ricordiamo soltanto la distinzione tra muscoli intrinseci (splenio, erettore spinale, trasverso spinale, muscoli segmentari) e muscoli estrinseci (gran dorsale, addominali, psoas, quadrato dei lombi).
Le azioni principali dei muscoli del dorso sono:
a) Promozione dei movimenti attivi del tronco contro gravità e inerzia (contrazione concentrica)
b) Mantenimento di una posizione contro gravità attraverso la produzione di tensione attiva (contrazione isometrica) e passiva2
c) Freno ai movimenti del tronco generati dalla gravità, dall’inerzia e dai muscoli antagonisti, attraverso la produzione di tensione attiva (contrazione eccentrica, o in allungamento) e passiva
d) Attenuazione delle sollecitazioni generate sulle strutture rachidee dal movimento attraverso un mec- canismo di tipo “shock absorber” (assorbimento di energia elastica da parte dei muscoli attraverso la contrazione controllata degli stessi) (Fig. 19) e attraverso un meccanismo di ridistribuzione dei ca- richi simile a quello determinato dall’applicazione di un tirante su una colonna caricata ec- centricamente (Fig. 20; 21).
Per poter svolgere al meglio le molteplici azioni a cui sono deputati, è fondamentale che i muscoli siano dotati di forza adeguata e, soprattutto, che il controllo neuromotorio sia ottimale (reclutamento delle Unità motorie giuste, al momento giusto e con la giusta frequenza di scarica attraverso l’attiva- zione di meccanismi volontari e riflessi a partenza dai meccanocettori e dai nocicettori distribuiti sui tes- suti rachidei) (Boccardi, 1984). Se il funzionamento dell’apparato neuromuscolare è alterato per lesioni di natura centrale o periferica, o per fatica, o per una alterazione dello stato attentivo, si producono sol- lecitazioni abnormi sulle strutture rachidee con conseguenti possibili danni a carico delle stesse (lesioni miotendinee e capsulo-legamentose con secondaria instabilità articolare, lacerazioni delle fibre dell’anulus, fratture da fatica, ecc.).
Fig. 19 - Le sollecitazioni prodotte a livello delle articolazioni portanti è ben diverso se l’atterraggio da un salto avviene con graduale flessione delle articolazioni portanti (contrazione eccentrica degli estensori) o in modo rigido. Nel primo caso lo stiramento controllato dei muscoli estensori del rachide, delle anche, delle gi- nocchia e delle tibio tarsiche consente agli stessi di assorbire elevate quantità di energia elastica prevenendo- ne un accumulo eccessivo a livello osteo cartilagineo e capsulo-legamentoso, con i danni che ne potrebbero conseguire (meccanismo shock absorber , o “a balestra”).
Fig. 20 - Distribuzione delle sollecitazioni.in una colonna caricata eccentricamente. a e b:.La colonna viene sollecitata non soltanto da una spinta assiale, che produce sollecitazioni uniformi su ogni sezione trasversa (10 Kg/cm2), in crescendo dalla sommità alla base, ma anche da una spinta incurvante, che aumenta con l’aumentare del braccio di leva della forza di carico rispetto all’asse centrale (h). La forza dovuta alla spinta incurvante determina sollecitazioni di compressione sul lato corrispondente a quello su cui agisce il carico e sollecitazionii di trazione sul lato opposto (le sollecitazioni.legate alla spinta incurvan- te.sono massime.sulle superfici esterne e si riducono via via che ci si avvicina al piano sagittale mediano della colonna, detto piano neutro, dove sono nulle). L’effetto totale del carico sulla colonna.è dato dalla somma del- la sua componente assiale e della sua componente incurvante; sul lato sottoposto all’effetto compressivo della componente incurvante le sollecitazioni complessive sono dati dalla somma delle sollecitazioni generate dal carico assiale e delle sollecitazioni compressive generate dalla componente incurvante; sul lato opposto, sono date dalla differenza tra le sollecitazioni compressive generate dalla componente assiale e le sollecitazioni di trazione generate dalla componente incurvante (da Pauwels, 1980). c: Controbilanciando il carico eccentrico su un lato della colonna mediante un secondo carico eccentrico op- posto al primo, si elimina la spinta incurvante e, pur raddoppiando il carico assiale (che nella colonna verte- brale normale corrisponde al carico sul nucleo polposo dei dischi), si riduce notevolmente il carico complessi- vo. ..D=sollecitazioni di compressione.. Z= sollecitazioni di trazione
Fig .21 - Invece di controbilanciare il carico compressivo eccentrico con un secondo carico compressivo ec- centrico, si può ricorrere a una catena che tira verso il basso (i tiranti muscolari agiscono esattamente come una catena che tira verso il basso) (da Pauwels, 1980).